21 settembre 2016 National Geographic: “L’agricoltura biodinamica funziona davvero?”

Riportiamo qui sotto l’articolo pubblicato da National Geographic il 21 settembre 2016 (vedere qui l’articolo originale).


L’agricoltura biodinamica funziona davvero?

Il metodo, nato negli anni Venti, è considerato il precursore del biologico. Viene insegnato in prestigiose università. Ma tra i suoi principi ce ne sono alcuni che fanno discutere la comunità scientifica.

Fattoria biodinamica in Bassa Sassonia, Fotografia di Hauke Dressler /Look-foto/Getty Images

Fattoria biodinamica in Bassa Sassonia, Fotografia di Hauke Dressler /Look-foto/Getty Images

Sotterrare vesciche di cervo con dentro dei fiori di achillea, o un corno di vacca ripieno di letame. O, ancora, lasciare corteccia di quercia a fermentare dentro al teschio di un animale domestico. Non sono riti magici ma alcuni passaggi necessari per ottenere i preparati fertilizzanti dell’agricoltura biodinamica, una disciplina molto discussa, nata in Europa negli anni a cavallo tra le due guerre del Novecento in seguito a un ciclo di lezioni tenute nel 1924 dal filosofo austriaco Rudolf Steiner.

La biodinamica divide da sempre: da una parte chi la pratica e sostiene che funzioni, dall’altra chi la liquida come qualcosa di simile a una stregoneria. In mezzo dovrebbe esserci la scienza, che però una risposta definitiva non l’ha ancora fornita. La biodinamica è una versione più estrema ed “esoterica” dell’agricoltura biologica. Niente concimi di sintesi e niente pesticidi, con la differenza che gli agricoltori biodinamici non possono nemmeno utilizzare i pochi ammessi nel biologico come il rame e l’acido citrico. Un altro principio cardine del metodo di Steiner è quello, universalmente riconosciuto, della rotazione delle colture. Altri principi della biodinamica, però, hanno basi

scientifiche piuttosto fragili. L’efficacia di alcune pratiche è stata confermata solo da pochi e limitati esperimenti sul campo, mentre altri hanno escluso qualsiasi differenza significativa rispetto al metodo biologico.

Come l’idea che far fermentare fiori in una vescica di cervo possa aumentare la fertilità di letame o compost grazie alla sua “potenza radiante”. Le aziende biodinamiche non possono fare a meno di questo e altri otto “preparati” come il cornoletame, il cornosilice o la cortecca di quercia: il loro utilizzo è fondamentale per ottenere la certificazione. Nella maggior parte dei casi si tratta di fiori, corteccia triturata o letame da interrare all’interno di un contenitore di origine animale perché fermentino (ma ci sono preparati, come quello di ortica, da interrare senza alcun involucro), per poi essere sparsi sul terreno o diluiti in acqua.

Come per il biologico, anche il biodinamico prevede un sistema di certificazioni. La differenza è che gli agricoltori bio devono sottoporsi a un regolamento europeo  mentre la certificazione biodinamica è rilasciata dall’associazione privata Demeter, presente in 35 stati in tutto il mondo. Come detto, l’utilizzo dei preparati è obbligatorio per ottenerla. In Italia sono oltre 350 i produttori, trasformatori o fornitori che aderiscono a Demeter. Sul suo sito italiano, Demeter spiega come “tutte le aziende biodinamiche europee” siano anche soggette al regolamento Ue sul biologico. Insomma, non si può essere seguaci di Steiner senza rispettare i principi base del bio.

Eppure uno degli atenei più prestigiosi d’Italia, la Carlo Bo di Urbino, ai due metodi dedicherà lo stesso spazio e darà pari dignità in un corso di formazione che partirà a fine ottobre 2016.

“In questo corso cercheremo di dar voce alle diverse realtà che fanno parte di un sistema complesso”,  spiega a National Geographic la direttrice del corso Elena Viganò. “Ma non per questo vogliamo sposare un metodo in particolare. Io la penso così: diamo voce a tutti, gli allievi poi si faranno la loro idea. Scientifico o no, il metodo biodinamico esiste e vale la pena ascoltare chi lo sostiene e lo pratica”.

Il corso di formazione si propone di far conoscere i due modelli produttivi e di fornire gli strumenti di base per aprire un’attività biologica o biodinamica: regolamentazione, politiche di sostegno, accessi ai finanziamenti, certificazioni. È organizzato dal dipartimento di Economia, società e politica. Secondo Dario Bressanini, chimico, scrittore e divulgatore scientifico per il sito de Le Scienze, proprio quest’ultimo è un elemento chiave: “Non penso sia un caso se queste iniziative non partono quasi mai dalle facoltà di Agraria: chi mette in piedi questi corsi spesso non ha ben chiara la differenza tra biologico e biodinamico”.

Sul suo blog, Scienza in cucina, Bressanini ha dedicato diversi articoli al metodo biodinamico. In uno di questi illustra nel dettaglio la preparazione di diversi “preparati” teorizzati da Steiner, aggiungendo che il filosofo non ha mai fornito prove della loro efficacia, fatto verifiche o dimostrazioni sul campo, mentre di altre fornisce solo “spiegazioni esoteriche”. Anche la nostra Lisa Signorile ha parlato della scarsa scientificità di queste pratiche in un post del suo blog L’orologiaio miope.

Non esistono dimostrazioni incontrovertibili del fatto che la frutta e la verdura biodinamica siano diverse da quella biologica, “ma abbiamo abbastanza elementi che dovrebbero suscitare, in qualsiasi ricercatore, il desiderio di approfondire questa disciplina anziché ridicolizzarci”, spiega Carlo Triarico, presidente dell’associazione per l’agricoltura biodinamica e membro del comitato scientifico del corso di formazione organizzato dalla Carlo Bo di Urbino. “La biodinamica applica un’agronomia seria i cui protocolli sono verificabili. È un approccio che, quanto meno, sta in piedi. Lo dimostra il fatto che grandi aziende agricole, che esportano nel mondo, ottengono prodotti di eccellenza senza neanche usare il rame. È l’organizzazione agronomica che fa la differenza, i preparati sono solo un elemento tra tanti. Senza quel contesto non servirebbero a nulla”.

“Gran parte dei principi della biodinamica sono stati inventati di sana pianta da Steiner – continua Bressanini parlando a National Geographic – e i pochi studi controllati che sono stati condotti su questo metodo non hanno mai dimostrato alcun effetto. Certo che c’è differenza tra agricoltura convenzionale e biodinamica, il problema è che non è mai emersa una differenza con il biologico, e questo è fondamentale perché i ‘preparati’ sono obbligatori per poter ottenere la certificazione biodinamica e sono l’unico elemento che li distingue dal normale biologico”.

Uno studio pubblicato nel 2013 su Journal of Microbiology and Biotechnology conclude che il preparato 500 (il cosiddetto “cornoletame”) “migliora la qualità del suolo” e che i livelli di materia organica e biodiversità microbica del suolo analizzato erano “significativamente più alti nel sistema biodinamico in confronto al sistema biologico”. Non è l’unico, altre pubblicazioni evidenziano come i preparati arricchiscano il terreno di microganismi. Tuttavia, una review dei più recenti studi sul biodinamico (compreso quello appena citato), conclude che “data la scarsità di letteratura scientifica e l’assenza di dati certi a supporto dell’efficacia dei preparati, non si può distinguere in modo misurabile l’agricoltura biodinamica da quella biologica e non dovrebbe essere raccomandata come pratica supportata da basi scientifiche”.

Secondo l’autrice della review, gli errori più comuni degli studi a difesa del biodinamico sono due: non aver calcolato attentamente l’errore statistico ed essersi concentrati sui risultati positivi, dando meno risalto al resto. Il cosiddetto “cherry-picking”.

“Chi sostiene il biodinamico è il primo a chiedere più supporto dal mondo accademico”, spiega ancora Carlo Triarico a National Geographic. “Mettiamo in conto che possano esserci errori o limiti nel nostro metodo, ma vorremmo che fosse la scienza a stabilirlo. L’accademia italiana ha, del resto, tutti gli anticorpi per riconoscere una bufala e difendersi, se questo fosse”. Il dibattito è ancora aperto.

 

 

 

 

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