2009 Estate – Paesaggi spirituali

Viaggiando per l’Italia è possibile osservare boschi, seminativi, prati, scarpate inerbite, parchi pubblici, giardini. Per chi ha una certa età è lampante il cambiamento del mondo vegetale in un quarantennio. Già nella seconda parte di maggio il colore dei prati vira fortemente al giallo perfino nel nord emiliano fino al veneto. Diverso il maggio di trenta o quaranta anni fa. I boschi manifestano difficoltà gradualmente visibili perfino nelle vaste aree forestali toscane e qualcosa sta cambiando rapidamente anche in Alto Adige. Un immenso processo accade nella pelle di questo pianeta. Qualcosa che per secoli ha mantenuto una riserva di vita nel suolo attraverso l’immane processo di formazione che dalla roccia ha portato agli strati profondi e ricchi di vita delle terre coltivabili, si ritrae sconfitto lasciando il mondo vegetale solo e senza mediazioni col mondo minerale. E il mondo dei venti nel loro immenso gioco con le acque meteoriche non trova in basso il pulsare di una vita sotterranea in grado di produrre il grande mediatore di vitalità che è l’Humus. Eppure dobbiamo ricordare i tempi in cui il suolo era ricco di vita al punto che un’immensa catena di lavoro preparava ciò che dal mondo vegetale ed animale veniva a morire e cadeva sul suolo unendolo con la matrice minerale più fine. Dobbiamo ricordare chi rendeva il terreno così poroso, morbido in grado di assorbire oltre i 100 mm l’ora di acqua (contro l’attuale millimetro all’ora nella migliore delle ipotesi) , chi produceva fino al 60% di porosità degradando le radici morte e trasformandole in humus. E non dobbiamo dimenticare i grandi lombrichi che costituivano una massa che arrivava fino a 4 tonnellate per ettaro e digeriva ogni anno fino a 1000 tonnellate di terreno per ettaro. Non è possibile dimenticarsi dei nostri suoli che contenevano fino a 2 tonnellate per ettaro di funghi, fino a una tonnellata per ettaro di batteri e via dicendo. Dal mondo degli insetti che triturano il carbonio delle piante e degli animali morti, fino a tutti i microrganismi che continuano l’opera di disgregazione per affidare quel carbonio a “colleghi” che ricostruiscono il colloide humico collegandolo con la parte minerale del suolo: lì era il tesoro della Terra, lì l’oro delle centinaia di generazioni di agricoltori. Lì il futuro del genere umano che dovrebbe accompagnare l’evoluzione del pianeta con tutti i suoi esseri grandi e piccoli. Questo paesaggio che assetato non trova un diaframma possibile di vita nel suolo ormai mineralizzato, diluviato, disperso, in viaggio con lo scorrere incontrollato delle acque non più assorbite, trattenute e restituite al mondo vegetale, scorre via dai finestrini delle auto in corsa ignorato una umanità indaffarata e persa nel proprio tran tran quotidiano. Ma l’impoverimento di questa “orchestra” biologica che ha prodotto la vita su questo pianeta, in fondo, non esprime un impoverimento del nostro mondo interiore? Ci veniva in mente che quel che risuona dentro di noi del paesaggio esprime la povertà dei pensieri, della vita dell’anima dell’uomo di oggi. Il mondo che costruiamo e che modifichiamo è sempre espressione qualitativa di ciò che circola nella nostra interiorità. Il nostro mondo ideale, spirituale, la nostra “vitalità” creativa si riflette necessariamente sull’ambiente in cui viviamo. Il mondo vivente è il primo a pagarne le conseguenze. Già all’inizio del ‘900 Rudolf Steiner aveva posto il problema di quale paradigma scientifico, gnoseologico e conoscitivo stesse per avere il sopravvento allora, segnalando il pericolo distruttivo insito nel riduzionismo scientifico. Il prodotto della semplificazione riduzionista è sotto i nostri occhi. Una Natura che muore e vede rapidamente distrutti i processi fondamentali su cui si è costruita nei millenni. La via dell’agricoltura biodinamica non è un insieme di tecniche. E’ un approccio in cui l’agricoltore ritrova una visione d’insieme e si rapporta in modo intimo e individuale con tutta la catena del carbonio avendone cura e mettendosi in sintonia con i suoi meravigliosi operatori. L’agricoltura non è altro che l’estrema sintesi operante del mondo conoscitivo, ideale, scientifico prodotto dalla cultura del tempo in cui si vive. Deve ritrovare l’orgoglio di essere la più alta espressione dell’operare umano per poter governare la responsabilità della vita del pianeta e degli uomini, ovvero garantire il passaggio dal passato al futuro.

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